Conto corrente, i motivi dell’aumento dei costi

Conto corrente

Un nuovo, spiacevole, aumento dei costi sta colpendo una fetta consistente degli italiani. E li sta ferendo proprio in un servizio diventato, oramai, di primaria necessità: il conto corrente. Se con l’avvento del nuovo millennio, grazie alla prepotente entrata in scena di Internet e la conseguente nascita dei conti on-line, si era assistito ad un trend favorevole per gli utenti, grazie ad un diffuso abbassamento dei costi, negli ultimi ventiquattro mesi si è registrata una netta inversione di tendenza. Un aumento che ha colpito, indiscriminatamente, sia i clienti allo sportello che quelli on-line, come viene ben evidenziato da questa autorevole fonte.

BCE e Atlante, fattori scatenanti degli aumenti

Un salasso che, purtroppo, non sembra conoscere tregua. Le ragioni sono le più disparate, ma fondamentalmente si possono racchiudere in due importanti motivazioni: i tassi negativi a breve termine della BCE, con un aumento che, di anno in anno, viene rimandato di diciotto mesi a causa di una economia europea zoppicante, che non riesce ad agguantare la fatidica soglia del 2% di inflazione ed è lontana dal definirsi in piena ripresa; i costi sostenuti dalle banche solide per il salvataggio di quelle fallite (o in estrema difficoltà) attingendo risorse da Atlante, il fondo interbancario privato più comunemente famoso col nome di “salva banche“.

Non è casuale, quindi, che i maggiori istituti di credito siano stati i primi ad operare un aumento dei canoni e delle spese di gestione del conto corrente, in quanto hanno contribuito in misura maggiore a rilevare le banche ad un passo dal dichiararsi in default oppure tecnicamente fallite, salvando migliaia di posti di lavoro. L’Italia, d’altronde, negli anni dell’esplosione della crisi economico-finanziaria, iniziata col crack di Lehman Brothers, non ha affrontato direttamente il problema, preferendo fare orecchie da mercante affermando come il sistema bancario nazionale fosse estremamente solido e che l’uso dei derivati, primo fattore scatenante della crisi a stelle e strisce,  fosse assai limitato. Un clamoroso autogol politico, volto a tranquillizzare i cittadini per trarne vantaggio in termini elettorali e di consenso, che ha rimandato l’esplosione definitiva del problema solo di qualche anno.

Aumento dei costi: problema diffuso in tutta l’Unione Europea

Non era complicato immaginare, infatti,  che la crisi americana e anglosassone avrebbe colpito nel segno anche l’economia italiana, sulla cui salute ha una incidenza a dir poco significativa l’Export verso i grandi paesi internazionali. Ed era abbastanza scontato ipotizzare, quindi, come i nostri istituti di credito avrebbero visto aumentare esponenzialmente i crediti deteriorati, a causa dell’impossibilità di pagare le rate di mutui e prestiti da parte dai tanti cittadini restati senza occupazione. Le banche, come noto, non sono istituti di beneficenza e hanno riversato buona parte dei maggiori costi sostenuti sulle spalle dei clienti, colpendoli proprio nello strumento di risparmio maggiormente utilizzato ed assolutamente indispensabile.

Un problema, però, che non riguarda solo i clienti delle banche italiane, ma quelli di buona parte dei paesi europei. In Germania e Svizzera, ad esempio, da molti anni si applicano delle commissioni più elevate per i clienti che detengono una somma elevata sul conto corrente, in modo da compensare i costi sostenuti dalla banca a causa dei tassi ufficiali negativi per i depositi a breve termine. L’unica via di fuga, quindi, è rappresentata da un aumento dei tassi, ma in quel caso, però, a risentirne potrebbero essere i titolari di mutui e prestiti, che vedrebbero aumentare le rate dei propri finanziamenti.